Il mio mondo di libri
Cominciamo da qui. I libri che ho amato di più nella mia infanzia.
Pinocchio, innanzitutto, che mio padre aveva acquistato tra il 1964 e il 1965 in una bella edizione illustrata a fascicoli settimanali dei Fratelli Fabbri Editori. Il libro di Carlo Collodi puà avere diverse chiavi di lettura. Quella poetica e fantasiosa, che i bambini amano. Quella etica, apprezzata soprattutto dai bravi genitori e che dovrebbe esserlo anche dai bravi politici, per contribuire a creare i buoni cittadini del domani. Infine, quella spirituale, comprensibile prevalentemente a chi pratica discipline di perfezionamento interiore. Di questi piani, nonostante da adulto abbia colto il fascino di quello spirituale, quello che ho apprezzato di più è quello etico e comportamentale, anche perchè ogni ricerca di pefezionamento spirituale non può che poggiarsi su una solida base etica. Ancora oggi, da adulto, mi accorgo che molti comportamenti della mia vita quotidiana e dei miei atteggiamenti sono stati influenzati da quella lettura, accompagnata dalle pazienti spiegazioni che i miei genitori mi davano. Ad esempio, mangio le bucce (se commestibili) della frutta, e non lascio niente nel piatto di quello che è cibo, pensando ai tanti che vivono nelle ristrettezze piuttosto che nello spreco. Rifuggo sempre di più da chi promette campi di monete d’oro creati senza il lavoro e i sacrifici, o divertimenti senza limite che non siano accompagnati dal loro corteo di sofferenza e pericolo. Accetto, se proprio è necessario, le medicine amare, preferibilmente assunte di mia volontà e non le “purghe” propinate dai conformisti e dai violenti. Mi piacciono i “grilli parlanti” (al plurale, per evitare facili battute sulla politica!), purchè non siano ipocriti moralisti. Insomma, il libro di Collodi è diventato un pilastro della mia vita.
Stessa edizione illustrata a fascicoli settimanali per un altro libro basilare per la mia educazione: Cuore di Edmondo De Amicis. Questo scrittore socialista che vive a cavallo tra ‘800 e ‘900, denuncia, in un libro per bambini, la vergogna di una società che fa crescere le ricchezze di alcuni sulla povertà e la miseria di altri. Certo, Cuore è un libro un po’ “buonista”, si direbbe oggi, forse meno apprezzato dai bimbi del fantasioso Pinocchio, anche se, quando uscì, fece di De Amicis il più importante scrittore italiano dell’epoca. Eppure è un grande manuale di educazione civica ed anche un grande inno all’unità d’Italia ed al Risorgimento. La storia della “Piccola vedetta lombarda” ha fatto piangere di commozione tanti bambini e la presenza, nella classe scolastica di Torino in cui è ambientato, di bambini di varie zone del Paese, aiuta a comprendere l’importanza del nostro processo unitario e l’assurdità dei leghismi e della xenofobia di ieri e di oggi. Poi c’è “Dagli Appennini alle Ande”, con il dramma dell’emigrazione italiana, ma anche, per un bambino come ero io, la scoperta di nuovi mondi, lontani e sorprendenti, e il desiderio incontenibile di viaggiare.
A proposito di viaggi, fondamentali per la mia vita di viandante e per la mia curiosità verso l’Oriente, sono stati i romanzi di Emilio Salgari. Il Ciclo della Jungla è quello che colpisce sicuramente di più la fantasia dei bambini, con le avventure malesi di Sandokan e Yanez e, in India, di Tremal-Naik e del fido Kammamuri. Recentemente ho scoperto che era una delle letture preferite del ribelle Che Guevara. Ho vissuto in Oriente parecchie estati della mia vita e, dovunque mi girassi, trovavo riscontri dei libri di Salgari. Sono trasecolato quando in Sri Lanka ho visto per la prima volta l’albero del pane, che ha come frutto enormi cocomeri dalla pelle coriacea che cascano dal suo tronco. In tutto l’Oriente è conosiuto, in inglese, come “jack-fruit”, ed è decisamente buono, anche se difficilissimo da sbucciare senza lame grosse ed affilate. Altrettanta emozione mi hanno dato l’Indonesia, patria di Sandokan, con le sue popolazioni variegate e con la sua vegetazione lussureggiante, e l’India, con le sue città-tempio, così simili a quelle del Bengala immaginato da Salgari. Sì, se potessi scrivere davvero bene, scriverei dei libri come Salgari, piuttosto che come Thomas Mann, che pure mi piace molto. Letteratura minore quella del mio omonimo Emilio? Letteratura per ragazzi? Può darsi, ma le etichette non mi piacciono. Io divido banalmente i libri in belli e brutti, piacevoli e noiosi. Ben scritti o mal scritti. Le categorie da critici raffinati non mi interessano. Anzi, mi chiedo perché bisogna incasellare tutto, anche le cose scritte da chi rifiuta gli “incasellamenti”. Infine una curiosità: de “I Tre Corsari” di Salgari, due hanno i nomi di mio fratello Enrico e mio. Ed anche dei fratelli di mio nonno paterno.
Vorrei aggiungere un consiglio un altro libro molto adatto ai bambini ed al loro amore naturale per gli altri esseri viventi: Il libro della Jungla di Rudyard Kipling, un altro straordinario libro per ragazzi ambientato in India. Ma delle atmosfere ’coloniali’ descritte in modo impareggiabile da questo autore, Premio Nobel per la Letteratura nel 1907, possono usufruire anche gli adulti, nei tanti racconti di grande suggestione che Kipling ha scritto. Straordinario il film che Henry Huston diresse con due grandi attori come Sean Connery e Michael Caine, tratto da un bellissimo racconto di Kipling, “L’uomo che volle farsi re“.
I libri della mia adolescenza.
Ho letto molto in quegli anni tumultuosi e un po’ solitari. Restringere oggi la scelta a tre libri o tre autori è particolarmente difficile. Ho amato molto i poeti, italiani (Leopardi e D’Annunzio più di altri) e francesi soprattutto (“Les poètes maduits” e i simbolisti), e dopo anche i romanzieri, in particolare quelli centro-europei (Mann, Hesse, Joseph Roth). La raccolta di poesie – o, meglio, il poema – che ho letto e riletto senza fine è stato “I fiori del male” di Charles Baudelaire. Amori irregolari ed estetismo delicatamente sfinente, rivolta contro i benpensanti e il potere conformista, sublime ricerca di una risposta al senso della vita: “Les fleurs du mal” sono una sorta di “Divina Commedia” di un’età decadente. La discesa all’inferno e il senso del peccato conducono letterariamente alla ricerca di una uscita. Ma, mentre Dante conclude il suo “Inferno” dicendo: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, Baudelaire conclude la sua opera così:
“…e tanto brucia nel cervello il suo fuoco,
che vogliamo tuffarci nell’abisso
– Inferno o Cielo,cha importa? – discendere l’Ignoto
per trovarvi nel fondo, al fine, il Nuovo!”
Oltre che “Siddharta”, il mio primo contatto con il Buddha storico, ho amato molto di Herman Hesse “Narciso e Boccadoro“. Ho scoperto nelle pagine di questo bellissimo romanzo la descrizione del conflitto – ma anche dell’integrazione – tra la natura estetica e la natura ascetica, che a volte si confondono, si combattono, si esaltano, nella stessa persona. Narciso è l’asceta, freddo, solitario, a volte altezzoso, monaco di lettere e meditazione. Boccadoro è l’esteta, passionale, monaco-pittore, il cui saio è sempre troppo stretto per la sua esuberanza, la sua misericordia e il suo essere costantemente rivolto agli “altri”. Eppure… alla fine della storia le parti non sono più così nette come sembrava all’inizio. Tra l’altro, l’Hesse profondo conoscitore del buddhismo delinea nei due protagonisti – non sappiamo se volontariamente o meno – i due diversi approcci al rapporto con gli altri delle principali tradizioni buddhiste, quella Theravada e quella Mahayana. La prima vede il raggiungimento del Nibbhana come solitaria fine della sofferenza. La seconda sostiene che Buddha, pur arrivando al Nibbhana, decide di reincarnarsi ancora, per sorreggere la sofferenza degli esseri viventi. Un po’ come il Dio che si incarna. Ricordiamoci che il Re indiano Ashoka inviò suoi monaci buddhisti ad Alessandria d’Egitto nel 3° secolo A.C.. E, comunque, quello di Hesse è un libro profondo ed inquieto, essendo i due protagonisti le due parti della sua stessa natura. Leggetelo, anche se non è famoso come “Il gioco delle perle di vetro” o “Il lupo della steppa”.
Nella letteratura centro-europea del 900, non posso non ricordare “La leggenda del Santo bevitore” di Joseph Roth, una breve e intensa storia dedicata ai diseredati che vivono di fianco a noi e un invito a vivere il rapporto con gli umili come una magia benefica per noi e, se siamo bravi, anche un po’ per loro.
Infine, se dovessi indicare un altro libro, molto amato nella mia adolescenza, proporrei “Il manoscritto trovato a Saragozza“, dello scrittore polacco Jan Potocki. Il “manoscritto” è un romanzo dotato di una complessa struttura narrativa, costituita da storie concatenate una dentro l’altra, in una maniera che può vagamente ricordare Le mille e una notte. Il libro, poco conosciuto, è veramente coinvolgente. Lo conosce bene Andrea Camilleri, che lo cita nel racconto Tocco d’artista, all’interno della raccolta Un mese con Montalbano del 1998. Dal racconto è stato tratto anche un episodio della serie Il Commissario Montalbano, dove a sua volta si cita il personaggio. Lo scrittore, vissuto a cavallo tra il ‘700 e l’800, viaggiò moltissimo, in Spagna, Francia, Italia, Russia e Cina. E’ uno dei capolavori – tra i meno noti – della letteratura gotica e fantastica, quella iniziata da Horace Walpole con Il castello d’Otranto e virtualmente chiusa da Edgar Allan Poe, iniziatore del romanzo poliziesco, oltre che sublime scrittore, poeta e filosofo di estetica.. Letteratura minore? Forse. A mio avviso, grande letteratura.
Nel campo della letteratura poliziesca avrei tanti suggerimenti da dare, visto che è un genere che frequanto spesso prima di addormentarmi. “Il segno dei quattro” di Sir Arthur Conan Doyle, e gli altri romanzi che vedono protagonista Sherlock Holmes sono tra i miei preferiti. Doyle fu uno scrittore raffinato, sia pure di generi considerati “minori”, come il romanzo poliziesco e la fantascienza. Ma forse, nonostante il successo di lettori che dura ancora, è stata sottovalutata la qualità del suo modo di scrivere e l’attenzione a trattare temi importanti sia pure in una letteratura considerata “leggera”.
“I Racconti del grottesco e dell’arabesco” di Edgar A. Poe, è un altro gioiello della letteratura fantastica oggi considerata minore, ma trattata anche da veri giganti della letteratura come Poe. L’americano, tradotto per la prima volta in Europa dal suo ammiratore Baudelaire, è stato uno dei più grandi scrittori della storia, un vero genio della penna, reinventore del “romanzo gotico” ed inventore del romanzo poliziesco moderno
Per la letteratura italiana del genere, non posso che scegliere “Sessanta racconti” di Dino Buzzati, una raccolta di scritti fantastici del grande giornalista, noto anche per il romanzo “Il deserto dei Tartari”. Me lo consigliò che ero ancora bambino mio fratello Enrico, a cui devo stimoli letterari, musicali e politici fondamentali per la mia vita e per la cura del mio senso estetico.
“Il diario di Anna Frank”, come “Cuore” di De Amicis, può essere considerato scontato e didascalico, ma dal diario di questa delicata ragazza ebrea viene fuori in modo assolutamente semplice il dramma della follia che si è impossessata di una fetta di umanità attraverso il nazismo. Lo dovrebbe leggere ogni ragazzo, come dovrebbe accadere per “1984” di George Orwell, atto d’accuso contro l’altro mostro generato dal XX° secolo, il comunismo illiberale e antiumanista. Orwell, laburista e combattente repubblicano nelle formazioni anarchiche della guerra civile spagnola, denuncia l’odiosità dei sistemi polizieschi che vogliono negare all’essere umano il diritto di dire la verità. Un passo di questo libro, recensito a furia di ingiurie dallo stalinista Palmiro Togliatti, recita: “La libertà consiste nella libertà di dire che due più due fanno quattro. Se è concessa questa libertà, ne seguono tutte le altre.” Cioè la Libertà vera è quella per cui si è liberi di dire la Verità.
Dei libri della mia maturità devo citare sicuramente “I pilastri della Terra” di Ken Follet, la storia affascinante della costruzione di una Cattedrale gotica, che nasce nei decenni a dispetto della barbarie e della sopraffazione, riscattando gli umili ed i giusti grazie alla tenacia ed alla spiritualità del suo ideatore
Un altro bel libro è “La Città della Gioia” di Dominique Lapierre, la storia di eroi anonimi che si incontrano a Calcutta, in uno dei quartieri più poveri del mondo, e lanciano a noi tutti una sfida: liberarsi dalla schiavitù del possesso e abbracciare la vera libertà, quella di dare agli altri
Infine, devo molto, anche per la stesura del mio libro, oltre che per lo stimolo ad intraprendere la pratica meditativa, a “Un indovino mi disse” di Tiziano Terzani, un libro che descrive l’Oriente con realismo ed amore al tempo stesso e che illustra il difficile percorso spirituale di un Occidentale scettico nella “foresta incantata” della saggezza orientale.
Passiamo, adesso, tra i libri della mia maturità, ai tre libri che tengo simbolicamente sul comodino, sempre a portata di mano, come un viatico per il grande viaggio.
Chi di voi ha amato la Divina Commedia a scuola, alzi la mano! Nessuno, vero?! Eppure negli anni, fuori dal dovere fastidioso di leggere e capire quell’italiano ostico e prolisso, ad alcuni viene voglia di avvicinarsi finalmente – e per puro piacere e curiosità – a Dante Alighieri. Se qualcuno mi chiedesse qual è il libro più bello mai scritto, io oggi risponderei seccamente: la Commedia! Un complesso incontro di umanità e di personalità, un richiamo alle vite ed alla storia, una intensa espressione di passione politica e civile, la grande costruzione di un’ideologia politica basata sull’unione tra potere e spiritualità, un percorso iniziatico e spirituale di profonda sapienza: tutto questo è la Commedia. Ricordo la grande interpretazione di Benigni che recita il 33° ed ultimo canto del Paradiso, e la descrizione dell’esito del grande sapere iniziatico, contenuta alla fine dell’opera: “ma già volgeva il mio disio e il velle/ sì come rota ch’igualmente è mossa/ l’amor che move il sole e l’altre stelle.” Desiderio e volontà finalmente uniti che si muovono all’unisono. C’è qualcosa, scritto molti secoli prima, che esprime lo stesso obiettivo. Vediamo quale…
Oltre 1700 anni fa, in India, un maestro conosciuto con il nome di Patanjali mette per iscritto gli insegnamenti della più tradizionale disciplina spirituale indiana, gli Yogasutra. E inizia, con altre parole, dove Dante termina la sua Commedia: “Lo yoga è la soppressione degli stati mentali”, essendo gli stati mentali la grande fonte di distrazione dal percorso di purificazione, che vuole, invece, far coincidere il desiderio con la volontà, come avviene nella meditazione di consapevolezza. I sūtra sono dei versi della metrica tradizionale del sanscrito, usati per dare particolare valore all’argomento che trattano. Quasi tutte le principali scuole filosofiche indiane dell’antichità fanno riferimento ad un libro scritto in sūtra. Gli Yogasutra sono una delle più brevi, approfondite e chiare descrizioni degli stati mentali. La profondità dell’India antica nel conoscere la natura ed il funzionamento della mente è paragonabile a quanto, molti secoli dopo, ha prodotto la psicanalisi di Freud. Eppure, la psicanalisi si ferma di fronte alla possibilità di modificare l’inconscio, lo yoga ha la pretesa che la pratica meditativa possa, invece, arrivare a modificarlo. Ogni volta che rileggo gli Yogasutra, capisco qualcosa di più del loro contenuto e ringrazio il fatto di aver conosciuto questo libro e la disciplina che descrive.
Ho sempre amato i Vangeli, li ho letti parecchie volte ed a diverse età. Ho letto, oltre che quelli canonici (i sinottici e quello di Giovanni), quelli apocrifi, alcuni dei quali fantasiosi, altri intrisi di gnosticismo, altri ancora che echeggiano, forse, quel “protovangelo” che ancora non si trova. Eppure, la storia affascinante di questo ribelle chiamato Gesù mi appassiona in ogni suo aspetto. Chi era in realtà? Cosa voleva davvero? Il Regno spirituale o il Regno di Israele? O entrambi? La sua condanna fu voluta dai Romani o dai Sadducei? Quando cacciò i mercanti dal Tempio, in realtà voleva prendere la leadership dell’ebraismo al posto della maggioranza filo-romana? Morì davvero in croce? Cioè, era proprio lui l’uomo che fu arrestato? Perché dopo la “resurrezione” nessuno lo riconosceva fisicamente? La fuga in Egitto (ad Alessandria?) cosa nasconde? Misteri, molti misteri, attorno all’uomo più famoso della storia. Non avremo, forse, mai risposte a queste domande. E quando, con dispiacere, da deluso bambino pieno di curiosità, mi rendo conto che in questa vita non mi sarà dato di soddisfare queste domande, allora mi rifugio nello straordinario inizio del vangelo di Giovanni: “In principio era la Parola. E la Parola era presso Dio. E la Parola era Dio”. E vedo simboli che si muovono e prendono ordine su questa parole e sulla Parola, quel λόγος, che il filosofo greco Leucippo identificava nella Legge Universale che è anche dentro ognuno di noi,ricordandoci che le opere della nostra vita devono essere costruite ad onore e gloria di questa Legge Universale, che è Dio.
E per chi ama, come me, l’Oriente?
“Il delitto del labirinto cinese” di Robert Van Gulik, un poliziesco ambientato nella Cina medioevale, descritta con rara maestria da un grande studioso di costumi cinesi. Tutta la serie del giudice Dee è una riproposizione storicamente accurata e molto avvincente del tradizionale romanzo poliziesco cinese, un genere letterario molto amato in quel lontano Paese.
Le due sorelle vietnamite Kim Tran-Nhut e Tranh Van Tran-Nhut hanno scritto, tra gli altri, il bel poliziesco “La polvere nera di Maestro Hu“, Un altro romanzo poliziesco in stile orientale di sorprendente raffinatezza e grande efficacia.
Chi è appassionato di meditazione può leggere “Il Dhamma della Foresta” di Paul Breiter, che descrive la vita e gli insegnamenti di Achang Chah, uno dei grandi maestri moderni di meditazione Vipassana, e la quotidianeità di un monastero della foresta, nella Tailandia orientale. Ottimo, davvero, per chi si sta avvicinando alla meditazione.
Per chi, invece, vuole conoscere il senso dello Yoga, avendolo già un po’ praticato, c’è “Il cuore dello Yoga” di T.K.V. Desikachar, un grande maestro che spiega con semplicità e completezza gli aspetti essenziali della pratica yoga attraverso le otto “membra” di cui si compone questa disciplina antica almeno 4.500 anni.